A costo di apparire populista, vorrei
dedicare questo articolo al recente caso dell'ex-presidente del
principale ente previdenziale italiano, il quale, dopo garbati
solleciti da più direzioni, ha ritenuto opportuno dimettersi dalla
più importante delle ventidue cariche da lui detenute. Ciò che più
mi ha impressionato della vicenda, simbolo del cronico poltronismo
italiano, è il fatto che il personaggio in questione abbia ammesso
di aver ottenuto la laurea accademica con l'inganno, grazie ad un
malaffare orchestrato con la complicità di un bidello (sic).
Malgrado questa macchia, che ha avuto anche ripercussioni
giudiziarie, si ritiene tuttora degno di ricoprire le rimanenti 21
cariche, molte delle quali pubbliche.
Mi chiedo: perchè nessuno reagisce? É
inevitabile effettuare paragoni con ciò che ho visto in Germania.
Prendiamo ad esempio il caso Karl-Theodor
zu Guttenberg, stella
nascente della CDU e potenziale futuro premier, che nel 2011 si è
dimesso da Ministro della Difesa per aver copiato alcune parti della
sua tesi di laurea. Le sue dimissioni sono giunte dopo pressioni
esercitate ovviamente dall'opposizione e dalla stampa, ma soprattutto
dall'interno del sistema.
Il messaggio che si è voluto veicolare è questo: le regole, in
quanto tali, vanno rispettate, indipendentemente da chi le infrange.
E tra le righe, altri due messaggi: 1) noi tedeschi non siamo così
tolleranti come i mediterranei; 2) se non lo facciamo noi (politici),
ci pensano i cittadini ed è molto peggio (per noi).
La
corruzione e il carrierismo esistono anche in Germania, sarebbe da
ipocriti negarlo. Eppure si cerca di limitarli, e quando questo
accade è importante dare visibilità al fenomeno, al fine di
dimostrare che il sistema non è marcio ed è ancora degno di
credibilità.
Ma
torniamo al caso italiano. Io ho ottenuto una laurea anni fa. Non me
ne vanto, non l'ho incorniciata e appesa al muro, non faccio sapere
al prossimo che mi è costata sacrifici e rinunce (non sarebbe vero: mi piace studiare
ed imparare e se potessi studierei per il resto dei miei
giorni). Ora la tengo nel cassetto, a volte l'ho persino usata per
ragioni professionali. Punto.
Ciò
che mi sconcerta nel caso dell'ex-presidente dell'INPS è il fatto
che abbia barato. Non mi interessa che poi con quella laurea abbia
fatto carriera. Mi infastidisce che non abbia rispettato le regole
del gioco. Ho giocato molti anni a basket nella squadra
universitaria. Perdevamo sempre (non ricordo di aver vinto neanche
una partita), e non era piacevole, ma devo ammettere che non
riuscivamo a vincere semplicemente perchè le altre squadre erano più
forti. Nessun dramma, poi si andava a mangiare una pizza in
compagnia. La sconfitta si può tollerare, ma quello che risulta
inaccettabile è assistere all'infrazione sistematica delle regole,
senza che vi sia alcuna sanzione. Posso perdere anche con uno scarto
di 100 punti, ma non accetto che il mio avversario, invece di
palleggiare, prenda a calci il pallone davanti ad un arbitro che non
ha niente da obiettare. Ancora più inaccettabile è il fatto che il
giocatore in questione, dopo aver commesso svariate infrazioni, invece di essere sanzionato con un fallo
antisportivo, venga eletto giocatore dell'anno e riceva ingaggi
milionari.
Cerco
di capire: come mai in Italia non si verifica una sollevazione
popolare di fronte a queste vicende? Provo a darmi una risposta:
forse perchè facciamo anche noi parte del sistema di collusioni e
clientelismo. Mi spiego meglio. Le società del nord Europa sono
caratterizzate da individualismo, quelle del sud da familismo (quella
italiana da familismo amorale). Per individualismo non si intende la
connotazione morale del termine (egoismo), ma quella prettamente sociologica
(individualizzazione della società e dei servizi: a Berlino il 50%
dei cittadini è single).
Apro
un giornale locale in Germania e trovo numerose offerte di lavoro
nelle pagine degli annunci. Altrettante le trovo in internet, o nelle
bacheche universitarie. Alcune richiedono delle referenze e abilità
speciali. Benvenuti nel sistema meritocratico.
In
Italia, nel mio quotidiano locale, la pagina dei necrologi è densa
di inserzioni, ma di annunci di lavoro neanche l'ombra. Consulto
internet e non trovo un granchè. L'informagiovani non mi aiuta più
di tanto. A chi posso rivolgermi se voglio lavorare? Alla famiglia, o
alle “conoscenze”. In questo caso merito e competenze non sono
tanto importanti. Quello che conta è affiliarsi, mostrare
riconoscenza, restituire favori. La conseguenza di questo sistema è
che sarà poi difficile “alzare la testa”, una volta diventati
ingranaggio di questi meccanismi. Non si può esigere il rispetto
delle regole, quando si è costretti ad infrangerle. Ed è proprio
questo che smorza qualsiasi tentativo di ribellione. Non è simpatico
additare un colpevole, quando abbiamo un armadio pieno di scheletri.
Che
fare allora? Non credo agli slogan “yes, we can” o “cambiare si
può”. Un individuo, anche se motivato, ha un potere infinitamente
inferiore rispetto a radicate forze sociali (nel nostro caso, il
familismo amorale, leggasi: clientelismo diffuso e capillare). Più
che cambiare le cose, sarebbe più idoneo concentrarsi su un'altra
strategia: fare in modo che le cose cambino. Nel caso italiano, una
strategia potenzialmente efficace consiste nel creare occupazione che
richieda una tipologia di competenze specifiche (competenze
linguistiche, informatiche, progettuali, capacità di viaggiare e
coordinare gruppi). Lavoro nel settore interculturale e mi occupo di
progetti finanziati dalle istituzioni europee. I tanti ragazzi che
incontro in questo settore parlano diverse lingue straniere,
viaggiano per aggiornarsi e creare nuove reti di lavoro, hanno
familiarità con i social network e le nuove tecnologie, hanno idee
brillanti che traducono in proposte progettuali, per le quali è
necessario fare fund raisinig. Sarebbe veramente ridicolo se un
consumato politico a fine carriera bussasse alla porta di una delle
numerose associazioni create da questi giovani per “raccomandare”
il nipote disoccupato (troglodita informatico, mono-glotta, più
interessato a vestire alla moda che ad imparare a viaggiare da solo).
Se si lavora con le nuove tecnologie, la mobilità internazionale, la
formazione continua si ha la necessità di avvalersi di competenze
che possono solo essere acquisite sul campo, con merito, entusiasmo,
passione, conoscenza. É una strategia per spezzare le catene del
clientelismo e tornare ad essere “lavoratori liberi". Perchè
continuare a camminare a testa bassa, oltre ad essere umiliante, non
ci permette di capire quanto sia bello il cielo.